Processo Miteni, la Regione Veneto dietro lo stop all’indagine epidemiologica. Gli avvocati delle società idriche allarmano sull’ipotesi prescrizione: c’è il rischio che le spese vengano riversate sull’utenza
Arrivano importanti novità sul processo Miteni. La deposizione di un testimone rivela che nel 2018 sarebbe stata la regione Veneto a bloccare gli esami epidemiologici sulla popolazione. Già lo scorso giugno, il dottor Pietro Comba – responsabile del Dipartimento ambientale dell’ISS – aveva dichiarato che la decisione di bloccare il lavoro scientifico congiunto di ISS e Regione non fu tecnica.
Tutt’oggi l’ISS ritiene che un’analisi sulla popolazione resti importante, tanto per la ricerca scientifica quanto per le stesse persone esposte per anni ai PFAS. Non sarebbero quindi veritiere le dichiarazioni rilasciate dalla Regione lo scorso 7 agosto, nelle quali affermava che uno screening sulla popolazione era stato effettuato. In realtà, nel 2017 venne avviato un Piano di sorveglianza sulla popolazione e non una vera e propria indagine epidemiologica, che ora dovrà essere necessariamente effettuata.
Oltre il danno potrebbe arrivare la beffa. La collettività rischia di doversi fare carico delle spese che i gestori idrici veneti sosterranno per far fronte all’emergenza PFAS. Acque del Campo e Viacqua hanno preventivato una spesa totale di 60 milioni di euro, necessaria all’adeguamento dei sistemi idrici e all’eliminazione dei contaminanti chimici dall’acqua. L’ipotesi che questi costi si riversino sulla comunità diventerebbe concreta se, al termine del processo, gli imputati – 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation – non dovessero risarcire interamente il danno causato.
Un’eventualità inevitabile se il processo dovesse finire in prescrizione. Per scongiurare tale ipotesi, secondo quanto affermato da Marco Tonellotto – avvocato dei gestori idrici veneti – è necessario cambiare i fatti reato oggetto delle imputazioni, contestati fino al 2013 e al 2018. Questo perché l’inquinamento, l’avvelenamento delle acque e il disastro ambientale non possono ritenersi esauriti cinque o dieci anni fa. A maggior ragione, se si considera che le sostanze perfluoroalchiliche non sono degradabili e persistono nell’ambiente per centinaia di anni.
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Emergenza Pfas: «Costi riversati sugli utenti». In ballo 60 milioni spesi dai gestori idrici