PFAS in Veneto: lavori per una barriera di protezione, ma lo studio epidemiologico?
Nella provincia di Vicenza, precisamente a Trissino, sono in corso le operazioni preliminari per affrontare il problema della contaminazione da PFAS.
La società Eni Rewind sta investendo 8,5 milioni di euro per realizzare una barriera di protezione costituita da lastre di acciaio, conficcate nel terreno fino a 20 metri di profondità, lungo il torrente Poscola. Questa barriera si aggiunge a una già esistente, situata a sud, composta da pozzi che intercettano l’acqua sotterranea. L’obiettivo principale è impedire il movimento delle sostanze inquinanti che si sono accumulate nel sottosuolo nel corso degli anni, riducendo il rischio di diffusione verso il torrente.
Una deliberazione della giunta regionale del Veneto del 2016 avrebbe dovuto affidare all’Istituto Superiore di Sanità la realizzazione di uno studio epidemiologico sulla popolazione esposta all’inquinamento da PFAS, ma questa decisione non è mai stata attuata per motivi non chiari.
Le polemiche sono state alimentate dalla testimonianza di Pietro Comba, ex responsabile del Dipartimento di Epidemiologia Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità, nel processo di Vicenza. Comba ha rivelato che l’accordo tra la Regione del Veneto e l’Istituto Superiore di Sanità per condurre uno studio epidemiologico sulla popolazione per valutare il legame tra la contaminazione da PFAS e le patologie era stato bloccato dopo un anno di preparativi, probabilmente per motivi politici.
Anche le “Mamme no Pfas” e il gruppo Isde (Medici per l’ambiente) hanno denunciato questo rallentamento e hanno avviato una ricerca indipendente sulla correlazione tra l’inquinamento da PFAS e l’infertilità maschile nella zona più contaminata.
La Regione risponde affermando di aver promosso numerose indagini epidemiologiche in collaborazione con le autorità sanitarie nazionali e la comunità scientifica, ma secondo le parti civili nel processo di Vicenza gli studi scientifici citati non sono equivalenti allo studio epidemiologico di coorte originariamente pianificato; quindi, chiedono trasparenza e la pubblicazione dei risultati dei test sugli abitanti delle zone più colpite.
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