Le sostanze perfluoroalchiliche (o PFAS) sono contaminanti ambientali di origine antropica. La loro struttura chimica è costituita da catene alchiliche idrofobiche fluorurate, di varia lunghezza. Dal punto di vista pratico sono acidi molto forti utilizzati in forma liquida, che grazie alla particolare configurazione sono in grado di resistere alle alte temperature e ai naturali processi di deterioramento come idrolisi, fotolisi e degradazione biotica. I più comuni sono l’acido perfluoroottanoico (PFOA) e acido perfluoroottansolfonico (PFOS).

Queste sostanze, prodotte per l’industria bellica, vengono introdotte nell’uso civile dagli anni ’40 in svariati settori industriali. Date le loro caratteristiche di idrofobicità e oleorepellenza vengono largamente impiegati nell’industria tessile, per il trattamento delle pelli, nell’industria del packaging alimentare, per il rivestimento di padelle antiaderenti, tettarelle per neonati e per la realizzazione di abbigliamento tecnico (comunemente noti come Teflon e Gore-tex). Le loro caratteristiche sono sfruttate anche nella cosmesi, dove vengono utilizzati come carrier in prodotti di bellezza (creme, shampoo, ecc.) e in agricoltura nei pesticidi.

I PFAS contaminano l’ambiente attraverso diverse vie, ad esempio scarichi impropri degli impianti industriali, lisciviazione da discariche di rifiuti solidi, deflusso delle acque meteoriche e dei rifiuti urbani, penetrando cosi falde acquifere, acque superficiali e acque sotterranee.

In Italia la contaminazione da sostanze perfluorurate si concentra soprattutto in Veneto e Piemonte ma alcuni campionamenti effettuati in diversi fiumi italiani hanno messo in evidenza un quadro diverso, rivelando la presenza di questi composti anche in altre regioni d’Italia come Lazio, Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna.

Ad alte concentrazioni sono tossici non solo per l’uomo ma anche per tutti gli esseri viventi, questi composti infatti sono in grado di immagazzinarsi nel sistema e attraverso la catena alimentare risalgono i livelli trofici accumulandosi in quantità maggiori negli organismi ai vertici della piramide alimentare, questo fenomeno è noto come bioamplificazione.

La caratteristica che li rende potenzialmente dannosi per la salute umana risiede nel fatto che non si accumulano solo nel tessuto adiposo, ma vengono veicolati dal sangue a tutti i tessuti, in primis nel fegato. In aggiunta essendo sostanze molto persistenti e con una grande stabilità chimica permangono per lunghi periodi nell’organismo, ad esempio il PFOS ha un’emivita di quasi 5 anni mentre il PFOA di quasi 4 anni.

La principale via d’esposizione per l’uomo è attraverso l’ingestione di alimenti e acqua contaminata, ma occorre fare attenzione anche a quanto se ne assorbe dai materiali a contatto con gli alimenti (MOCA).

Gli effetti avversi sulla salute non vengono riscontrati immediatamente, si ritiene infatti che una lunga esposizione sia in relazione con lo sviluppo di disturbi ormonali. I PFAS sono infatti noti come interferenti endocrini, capaci di alterare diversi processi metabolici che coinvolgono gli ormoni, come lo sviluppo, la fertilità, il comportamento ed altre funzioni vitali.

Le patologie maggiormente riscontrate riguardano lo sviluppo di malattie metaboliche, tra cui obesità, diabete di tipo 2 e disturbi tiroidei, aumento del rischio di sviluppo di cancro al rene, fegato, pancreas e testicoli, ipertensione gravidica e coliti ulcerose.

I PFAS penetrano facilmente il terreno raggiungendo coltivazioni e prodotti agricoli e di conseguenza gli alimenti, pertanto il loro corretto smaltimento è essenziale, non solo per non mettere a rischio la salute umana ma anche per non creare un circolo vizioso che minerebbe la salubrità delle colture e degli animali da allevamento. A questo circolo si aggiunge la problematica dello smaltimento dei rifiuti ed il riciclaggio dei contenitori monouso (MOCA), che ne contengono una buona percentuale e che possono rappresentare una fonte di inquinamento subdolo.

Allo stato attuale non esiste una legge a tutela né dell’ambiente, né dei limiti di presenza in alimenti e MOCA, mentre l’EFSA si è già pronunciata sull’argomento presentando due relazioni in cui si indagano i potenziali rischi sulla salute derivanti da diverse fonti, ambientale e alimentare.

Vengono confermati danni a carico del sistema immunitario come i più importanti, che si manifestano anche alle concentrazioni più basse rilevate. La dose settimanale tollerabile viene fissata a 8 ng/kg sia per PFOA e PFOS assunti per via alimentare.

Per quanto riguarda i limiti sulle matrici ambientali solamente il PFOS, tra tutte le sostanze perfluororurate, viene aggiunto alla lista degli inquinanti organici persistenti nel Reg. 1021/2019 e viene stimata una soglia di 10 mg/kg oltre la quale si applicano le misure di controllo previste dalla normativa.

Nel dicembre 2020 è stata approvata la Direttiva UE sulle acque potabili dove i PFOS e i loro derivati sono inclusi tra le sostanze pericolose prioritarie e ne vengono stabiliti i valori limiti di qualità ambientale.

Data la serietà degli effetti collaterali sull’ambiente e sulla salute è essenziale che si sviluppino al più presto dei regolamenti a livello comunitario per la salvaguardia della salute pubblica.

F.V.C